John Fante – Dago Red – Einaudi Stile Libero
Il “Dago Red” era il vino fatto dagli italiani in America (chiamati “Dago” in senso spregiativo), e dà il titolo a questa raccolta di racconti.Mi sono dilungato in altre recensioni sulla straordinarietà di John Fante, per cui trovo superfluo continuare a sottolinearne la maestria e la squisita sensibilità, la capacità di associare la freschezza dei toni e la profondità dei contenuti e passo oltre, alle due caratteristiche di questa raccolta.
La prima riguarda l’io narrante, che per la maggior parte dei racconti è rappresentata da un bambino, e qui echeggia almeno in parte la modalità narrativa scelta da Romain Gary ne “La Vita Davanti a Sé”. Anche qui vengono resi i pensieri di un bambino, i modi di ragionare e i relativi paradossi, i labirinti logici in cui egli si trova nell’affrontare il mondo degli adulti e gli sforzi per uscirne.
La seconda caratteristica – che definisce in qualche modo la peculiarità dell’intero lavoro – riguarda il sentimento che è disciolto pagina dopo pagina in tutti i racconti, che è la volontà dell’io narrante di liberarsi dei due maggiori vincoli che gli provengono dalla propria famiglia di origine: l’italianità e la religione cattolica. Jimmy si vergogna – semplicemente – della propria origine di emigrante italiano, non sopporta di essere chiamato con i nomignoli riservati ai nostri emigrati, il già citato termine “dago”, oppure wop. A proposito di quest’ultimo l’etimologia è controversa, perché deriva a seconda delle interpretazioni dal termine “guappo” napoletano o dalla contrazione di “without passport”, senza passaporto. Termini storpiati e concetti squalificanti che dovrebbero far risuonare qualcosa nelle coscienze di questo nostro popolo che affibbia simili nomignoli agli immigrati che arrivano qui da lontano.
Tornando a Jimmy la sua battaglia è contro le proprie origini, che siano rappresentate dal padre violento, dalla madre repressa, dalla nonna ignorante, tutto ciò che rappresenta il suo passato gli risulta odioso e va rimosso così come vanno dimenticati i retaggi religiosi importati dall’Italia insieme alle altre tradizioni, significativi di un mondo che va dimenticato e abbandonato al più presto nell’illusione – prontamente e costantemente delusa – che insieme a esso venga meno il marchio di emigrante che il mondo circostante, quello degli americani, non ha alcuna intenzione di non rimproverargli a ogni occasione. E anche qui risuonano tanti paragoni …