Qual è il senso di una sezione in cui si commentano libri - la maggior parte dei quali di narrativa - in un sito di Psicoterapia e Mediazione Familiare?
Apparentemente nulla. Ci si aspetterebbero commenti sulla depressione o sull'ansia, ma i libri cosa c'entrano?
La mia opinione è che i libri c'entrano eccome.
Come lettore mi aprono a mondi plurimi rispetto al ristretto orizzonte della mia vita quotidiana.
Come terapeuta mi raccontano vicende, modi di pensarle e affrontarle che tanta similitudine hanno con le storie che sento ogni giorno nel mio lavoro.
E mi permettono di imparare, pagina dopo pagina.

Paul Watzlawick - Istruzioni per rendersi infelici - Feltrinelli

Una prima domanda che mi sono posto leggendo questo libro è stata: è possibile per un autore formidabile come Watzlawick toppare un libro, o comunque scriverne uno apparentemente banale e privo di particolari slanci? Resomi più umilmente conto del fatto che spesso non è colpa dell’autore, ma può essere sia il lettore a non essere predisposto nel modo ideale a una determinata lettura, la domanda che sono più opportunamente posto è stata: cosa non mi ha convinto di questo libro? Ho solo sbagliato il momento per leggerlo, o lo stato d’animo, o avevo coltivato aspettative irrealistiche su ciò che ci avrei trovato?

“Istruzioni per Rendersi Infelici” è un libretto di poco più di 100 pagine, che si propone di sfatare – con la consueta leggerezza di cui Watzlawick è capace – la leggenda che vorrebbe l’uomo perennemente impegnato nella ricerca della propria facilità. L’operazione avviene utilizzando proprio alcuni dei luoghi comuni e delle convinzioni più diffuse tra le persone. Per esempio l’essere fedeli a se stessi, che “permette” di non adattarsi e di soffrire alla ricerca di un dover essere irrealistico e particolare, tenendo fermo il proprio punto di vista e rendendo impossibile l’adattamento alla realtà che ci circonda. Oppure l’esaltazione del passato, per esempio dell’infanzia e dell’adolescenze vissute (e fraintese) come età dell’oro, piuttosto che come quel periodo di preoccupazioni e insicurezze che sono in realtà state. O ancora la capacità di sviluppare conseguenze logiche dalle proprie supposizioni che non tengono conto minimamente del punto di vista altrui, ma in grado di costruire una catena immaginativa da cui la relazione non riesce a liberarsi, come la storia di milioni di conflitti di coppia ha insegnato, insegna e insegnerà. O infine (anche se gli esempi nel libro sono molti di più) nell’eterno dilemma tra costrizione e spontaneità, individuato dalla diabolica e irrealizzabile esortazione “sii spontaneo!”.

Il messaggio che viene trasmesso è insomma riassumibile in questo modo: sono molti degli stessi luoghi comuni che accompagnano le nostre esistenze e che vengono comunemente – e distrattamente – accettati, che costituiscono la base delle principali contraddizioni (e dei doppi legami, secondo il linguaggio sistemico) in cui ci veniamo a trovare. Le migliori intenzioni per evitare l’infelicità alla lunga contribuiscono a creare le condizioni per l’infelicità medesima, o quantomeno per mantenerci immersi nella vischiosità dell’ambiguità e del dilemma comunicativo, fonti di precarietà e, alla lunga, di vera, sorda e inconsolabile infelicità.