Qual è il senso di una sezione in cui si commentano libri - la maggior parte dei quali di narrativa - in un sito di Psicoterapia e Mediazione Familiare?
Apparentemente nulla. Ci si aspetterebbero commenti sulla depressione o sull'ansia, ma i libri cosa c'entrano?
La mia opinione è che i libri c'entrano eccome.
Come lettore mi aprono a mondi plurimi rispetto al ristretto orizzonte della mia vita quotidiana.
Come terapeuta mi raccontano vicende, modi di pensarle e affrontarle che tanta similitudine hanno con le storie che sento ogni giorno nel mio lavoro.
E mi permettono di imparare, pagina dopo pagina.

Yasushi Inoue - Vita di un Falsario - Skira Edizioni

Skira è una piccola casa editrice italo svizzera di libri d’arte. Ha anche una piccola sezione di libri di narrativa, tra i quali si trova “Vita di un Falsario” di Yasushi Inoue, che è innanzi tutto un piccolo capolavoro su un piano strettamente estetico e strutturale. Copertina rigida, bellissima immagine, carta di pregio.
Sul piano squisitamente narrativo la struttura del racconto è per certi versi sorprendente. Inoue ha un po’ l’abitudine a suddividere i suoi libri in parti ben definite, il più delle volte tre. Lo si è visto con “Il Fucile da Caccia”, lo stesso avviene in “Amore”, e come si vedrà anche in “Memorie di Mia Madre”.

Qui invece l’intero racconto si sviluppa su un solo capitolo. La maestria ovviamente è la solita, come di consueto Inoue mostra una capacità descrittiva priva di eccessi espressivi indipendentemente dal tema di cui si occupa: il lettore non è mai aiutato a percepire emozioni dall’utilizzo di scelte linguistiche sopra le righe, ma trae semmai l’emozione dal contenuto, e viene accompagnato in modo – si perdoni il paradosso – silenzioso dall’autore lungo lo sviluppo della narrazione come se stesse visitando un palazzo pieno di stanze talmente belle da essere in grado di descriversi da sole.
La vicenda è in sé semplice: l’io narrante è un critico d’arte cui viene commissionata la biografia di un pittore giapponese – Onuki Keigaku - morto qualche anno prima, nel 1938, per comporre la quale egli dovrà cercare le sue opere sparse un po’ per il Giappone.
Lo scoppio della guerra interrompe la scrittura dell’opera, che viene ripresa solo dopo il 1945. Contemporaneamente però lo studioso sviluppa un crescente interesse per il falsario delle opere di Omuki Keigaku, e un po’ alla volta le sue indagini, le sue ricerche e le sue riflessioni saranno sempre più dirette a questo oscuro personaggio – Hara Hosen – e al destino non particolarmente benevolo nei suoi confronti. Accanto a questo interesse si sviluppa una sorta di affetto, una empatia per la vicenda umana di una persona che ha vissuto di espedienti e che è tornato a morire nel villaggio in cui era nato, abbandonato dalla moglie e dedito al traffico clandestino di fuochi artificiali. Ed è proprio la compassione umana, quasi l’affetto, nei confronti di una persona nella fase calante della sua esistenza la vera trama che tesse il racconto, mentre le vicende del pittore di successo un po’ alla volta si perdono nello sfondo, mentre lentamente si delinea questo tardivo risarcimento per un falsario sfortunato.